Proseguiamo con la rubrica inaugurata nella scorsa newsletter. Dopo la stout, dalle isole britanniche ci spostiamo in Belgio, per scoprire uno degli stili simbolo di questo Paese: la Tripel.
Le Tripel fanno parte della vasta famiglia delle birre belghe ad alta fermentazione: una famiglia che, pur nella sua eterogeneità – si va dal colore dorato carico fino all’ambrato scuro, e dalle gradazioni alcoliche medio-basse a quelle decisamente importanti – è accomunata da una decisa caratterizzazione olfattiva data dal lievito – aromi speziati e di frutta matura, che a volte sottolineano la portata alcolica -, da un corpo pieno sui toni dolci, e dalla grande parsimonia nell’uso del luppolo – che riveste un ruolo di scarsa rilevanza nel connotare queste birre, sia in amaro che in aroma, pur risultando magari importante sotto il profilo tecnico per equilibrare il risultato finale così da non ottenere una birra stucchevole.
Le Tripel sono tra le più forti e le più note all’interno di questa famiglia; famose sono quelle storicamente prodotte nelle abbazie e in particolare le trappiste, ma sono diffuse in tutto il territorio. Per quanto si sappia che il nome deriva dal fatto che i monaci usavano chiamare così la birra più forte tra quelle prodotte nel convento, non è del tutto certo perché proprio il termine “tripla” – a volte erroneamente tradotto in italiano con “triplo malto”, cosa che non deve far credere che queste birre contengano tre volte la quantità di malto usuale – fosse stato scelto a questo scopo. Una delle spiegazioni più spesso citate vuole che la cosa nasca dal fatto che i monaci usavano utilizzare le stesse trebbie per tre cotte successive, così da estrarre al massimo zuccheri e amminoacidi dai cereali. La prima birra così prodotta risultava naturalmente essere molto più forte delle altre due: veniva servita solo agli ospiti importanti e nelle grandi feste, e i barili che la contenevano venivano contrassegnati con tre X. La seconda usciva un po’ meno forte, veniva utilizzata nelle festività settimanali, ed era contrassegnata con due X; la terza era molto leggera, veniva offerta ai pellegrini e destinata all’uso quotidiano dei monaci, ed era contrassegnata con una sola X – ancora oggi si trova traccia di questa tradizione all’abbazia di Orval, dove viene servita la Petite Orval, assai meno corposa della Orval classica. L’abbazia di Westmalle è stata la prima ad utilizzare il nome Tripel per una delle sue birre, divenuta bandiera di questo stile.
Sia come sia, al giorno d’oggi il termine Tripel sta ad indicare una birra che esalti al massimo ciascuna delle componenti di forza descritte sopra, grado alcolico compreso. Si abbina bene alla frutta secca, ai formaggi di media stagionatura, a diversi dessert; ma anche a carni corpose come la selvaggina – o, nel caso del pesce, l’aringa – o a formaggi più “impegnativi” come il gorgonzola.
E anche B2O sta per far uscire in questo mese la sua Tripel, stile che mancava al repertorio del birrificio, impreziosita dall’assenzio marino: non resta che rimanere sintonizzati e stare a vedere che cosa ha creato il nostro Gianluca…